La mia visione della paura

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La paura mette alla prova le nostre forze e convinzioni. Viverla in tutte le sue fasi diventa un momento di crescita imperdibile.

La nostra vita è un insieme di satelliti, in continuo vagare fino a che l’universo decide di fermarne uno. Quando accade, quel satellite all’improvviso precipita sul nostro corpo terrestre, incendiandosi poco prima di toccare la pelle, lasciando un segno, soffice come pelle nuova o ruvido come una crosta che non guarisce.

Tutti noi abbiamo cicatrici, visibili soltanto ai nostri occhi. Le cicatrici grandi sono l’atterraggio di satelliti che ha avuto un impatto così devastante da non lasciare apparentemente più superficie di atterraggio agli altri.

Qui la paura trova terreno fertile, si abbevera dalle lacrime e ruba il sole per crescere e coprire tutto. La pelle sotto inizia a sentirne il peso, ma la lascia consumare convinta che sia giusto sostenerla, che sia frutto di una cosa così importante che ha diritto di voce, di prendersi tutto ciò che resta, di respingere tutto ciò che incontra.

Quando tutta la superficie non basta più, la paura si addentra e cerca nuovi spazi e nuovo nutrimento. Incontra i ricordi, gelosamente conservati in mansarda, ci gioca senza chiedere permesso, apre le scatole della memoria nei momenti più inaspettati, legge racconti al contrario deformandoli. Alcuni ricordi se li porta dietro scendendo, sedendosi sul terrazzo dei sospiri, e lì restituisce le lacrime che aveva rubato, ripercorrendo un cerchio.

Infatti, la paura è figlia e madre allo stesso tempo,due ruoli che hanno entrambi diritto di esistere. I satelliti sono fondamentali per la vita sulla terra, una volta precipitati devono essere raccolti, celebrati, ricordati e solo con una figlia amorevolmente cresciuta è possibile avere la forza per ricominciare. Ma arriva un momento in cui la figlia deve lasciare la propria casa. Il suo destino è evolversi, diventare crosta, la figlia nel distacco deve lasciare una madre più forte, pronta ad accogliere una nuova cicatrice. Senza cicatrici una pelle è troppo liscia, non trattiene quindi non accoglie, non assorbe quindi non si nutre, non cambia quindi resta ferma.

La mia terra ha molte cicatrici. Ho sempre scelto di collegarmi a una moltitudine di satelliti, anche quelli stranieri, di cui già al primo incontro sapevo che le trasmissioni sarebbero state incomprese e non costruttive. Ho lasciato che le mie croste ripercorressero molte volte il cerchio, per evitare che si staccassero sanguinando ancora. Forse, in quei momenti, avrò perso altre occasioni di nuove connessioni, ma quando guardo la mia pelle sono felice che sia soffice. Ho pensato che quelle mie figlie avessero bisogno di più tempo delle altre per partire, tutto qui. 

Ma chi decide quanto tempo bisogna concedere alla paura?

Poco tempo fa la mia forza gravitazionale ha ceduto, e ho iniziato a creare problemi di connessione con i miei satelliti. È nata così una paura che, per preservare la sua permanenza, distorce le comunicazioni. Gli altri satelliti hanno iniziato ad allontanarsi per non cadere, al punto che non riuscivo più a vederli dalla terraferma. Mi sono trovata a galleggiare, senza controllo, cercando di appesantirmi per tornare con i piedi per terra, raggiungere la torre di comando e riprendere i contatti. Ma questo mi allontanava di più ancora dai satelliti, andavamo verso i poli opposti. Ogni paura è una figlia con esigenze diverse, ma a una persona razionale si fa prima a spiegare la teoria della relatività di Einstein.

Come abbandonare questa categorica fermezza e volare verso i satelliti, senza sapere se e dove saranno, se non abbandonandosi all’incerto?

L’universo a volte aiuta ad orientarci nel suo infinito, così ha deciso di dirottare un satellite che da tempo non stavo monitorando. Chissà da quanto tempo girava intorno, osservando la pelle, da cui egli stesso è nato. Disintegrandosi sulla superficie, ha sparso tutta la sua imprevedibilità, ha iniziato a parlare senza preavviso, iniziando ad appropriarsi della pelle. Chissà quanta superficie vorrà prendersi, la sua crosta sarà un puzzle fatto di pezzi da togliere poco alla volta.

Per questo la mia terra ha deciso di partire da qui per ricostruire nuova forza di gravità, imparando ad abbandonarsi all’imprevedibile, senza rigide connessioni, per ristabilire un segnale più forte e di vero scambio con i suoi satelliti.

Terra a Torre di Controllo, sono impreparata e quindi pronta.

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Alessandra Gilardini
Inutile lottare per cambiare me stessa: sono una miscela di forza, debolezza, complessità e leggerezza. Posso esplodere e ferire, oppure spegnere e curare. La scrittura è una carezza che faccio a me stessa, uno scioglinodi che agisce nel profondo e mi libera, per iniziare ad amarmi e amare davvero e profondamente.
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