Inventare sé stessi

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La creatività è un atto rivoluzionario che vuole essere prima sognato.


Il dubbio è il peggior nemico della creatività

Sylvia Plath

Devo immediatamente confessarvi una cosa: di buon mattino mi faccio un caffè e scrollo i social cercando notizie e belle citazioni. Capita che qualcuna di esse mi ispiri una riflessione che poi metto su carta, come ho fatto a proposito delle parole di Sylvia Plath che avete letto in apertura di questo post. Non mi pongo il problema di essere d’accordo o meno; accolgo le immagini che mi vengono a trovare. Oggi condivido con voi le mie riflessioni.

Il dubbio è una porta stagna antiallagamento; blocca il flusso continuo delle immagini che ci guidano. Che cosa devo fare? E intanto non facciamo. Che cosa devo dire? E intanto non diciamo. La corrente che deve condurci al compimento del nostro destino defluisce e ristagna in un pantano immobile e incapace di contenere la vita. Eppure, le porte stagne antiallagamento tengono a galla la nave. Che ne sarebbe di noi se un ruscello immaginale che rinfresca e rallegra le sponde dell’Anima nostra esondasse ipernutrito dalla pioggia torrenziale? Finiremmo in un altro luogo altrettanto sterile e stagnante. Allora sì, ci vorrebbe una porta stagna, una diga, un argine. 

Mi viene in mente Bastiano Baldassarre Bucci, il piccolo protagonista de La storia infinita, un libro bellissimo che racconta di un eroe che fa risorgere il mondo di Fantàsia dal Nulla, ricreandolo con la sua immaginazione. Nessuno può osare dire che Bastiano Baldassarre Bucci non sia un creativo! Ha creato Fantàsia! Invece, nel mondo concreto non ha creato nulla e gli va tutto storto: sua madre è morta, suo padre gli vuole bene ma non lo capisce, i suoi compagni lo trattano male e a scuola prende brutti voti. Quasi quasi gli converrebbe restare a Fantàsia. Lì è un eroe, lì è potente. Ma è una trappola. Se Bastiano non torna a casa rischia di scomparire in un mondo che non può abitare, rischia di perdere la sua identità. 

Potete immaginare il tormento di Bastiano che si trova a dover scegliere tra l’ottundimento autistico e consolatorio di Fantàsia e il dolore lancinante delle ferite del mondo concreto? Alla fine, ve lo spoilero, decide di ricominciare mille avventure per tornarsene a casa perché vuole vivere, anche se vivere significa stare col suo dolore. È il ritorno nel mondo l’atto più creativo di Bastiano. 

La creatività è la capacità di inventare un atto, un’idea o la soluzione a un problema che sia il risultato di una mediazione tra il nostro mondo immaginale e quello concreto. È un orizzonte, un salto nel mondo, appunto, diceva Aldo Carotenuto. Ma, perché sia creativo, non basta che sgorghi spontaneo dai cuori o dalle mani, bisogna che si costruisca e che funzioni proprio come se fosse uno strumento con insita una sua peculiare utilità, cioè che abbia una parola o una forma o una materia direttamente comprensibile anche per l’individuo al nostro fianco o per il mondo intero. Non è molto utile, a mio avviso, crogiolarsi nell’intimo delle nostre quattro pareti contemplando ciò che abbiamo prodotto o pensato senza partecipare alla complessità che ci attende una volta varcata la soglia di quelle quattro pareti. Come Bastiano a Fantàsia, insomma. Dà certamente consolazione e sollievo a una mente afflitta, ma creatività è partecipazione, come la libertà.

La libertà non è star sopra un albero
Non è neanche un gesto o un’invenzione
La libertà non è uno spazio libero
Libertà è partecipazione

Giorgio Gaber

Ma prima di fare il passo, stiamo lì a ruminare il dubbio, a macinarlo proprio come fosse un chicco di caffè, o, se vi piace quest’altra immagine, senz’altro più attuale, a incubarlo. Insomma, il dubbio è necessario, è una specie di gravidanza.

Ricordo che, alla fine di un corso di scrittura creativa, la maestra ci regalò una forbice e disse taglia, sfronda, decidi e recidi. Bizzarro, vero? Francamente a me quest’uscita non piacque affatto. Io non sono una dalla penna facile; scrivere per me è un piacere masochistico, mi tormenta ma non posso farne a meno. Dopo tutta la fatica che avevo fatto per produrre qualcosa di vagamente interessate, mi diceva, taglia! 

L’invito della maestra era quello di frequentare il dubbio abbastanza a lungo da poter trovare la giusta misura tra una forma (della scrittura in quel caso) squisitamente intima e una che funzionasse nel mondo, una forma che non tradisse né la sua origine, né la sua destinazione. Decidere viene dal latino de-cìdere e significa, appunto, tagliar via, mozzare. Il suo participio passato è decisus, deciso. Insomma, per uscire dal dubbio e decidere dobbiamo rinunciare a qualcosa. Bastiano rinuncia a Fantàsia (non alla fantasia, sia ben chiaro; quella se la porta con sé nel mondo), decide di tornare a casa. Sylvia Plath, lei sceglie di non tornare. Dobbiamo scegliere, e scegliere significa provare a separare il buono dal cattivo o dal superfluo. 

La scrittura terapeutica tende a essere molto materna, ad accogliere tutto, a occuparsi di tutto perché il fine dello scrivere terapeutico non è il libro. Siamo noi stessi l’atto creativo a cui tende lo scrivere terapeutico! Quando siamo impegnati in un percorso di cura facciamo l’esperienza agrodolce della separazione; la nostra storia, che raccontiamo (o scriviamo) a memoria e che suggella il nostro vincolo col passato, si esaurisce drammaticamente in poche e brevi, ma necessarie, narrazioni. Le storie dell’infanzia, i dolori, le ferite non sembrano più sufficienti per dire chi siamo e ci sentiamo smarriti mentre esclamiamo, possibile che io sia tutto qui? Possibile che io abbia investito tanto per tenere sanguinante la mia ferita? Possibile che oltre al mio dolore io non sia nulla? Vorremmo altre e nuove parole ma non ne troviamo perché non le abbiamo mai contemplate. Questo silenzio è l’anticamera del separare e del decidere, del dubbio e infine del creare e dell’inventare una nuova narrazione di sé. 

Ma che cosa può “creare” un uomo se non gli è toccato di essere un poeta? 
Se non ha proprio nulla da creare, allora forse crei sé stesso
C.G. Jung

Poi, diciamola tutta, le nuove narrazioni servono per il tempo necessario, sono plastiche e mutevoli come plastiche e mutevoli sono le esperienze e le percezioni delle relazioni e del mondo stesso che aggiungono o tolgono sostanza ai ricordi, ai significati, alle emozioni e viceversa. Come quando va in scena un nuovo spettacolo a teatro; esiste un’energia tra pubblico e scena che circola costantemente modificando e influenzando l’esperienza reciproca tanto che non esistono due repliche uguali. E ciò accade fino a quando non si compie una sorta di sintesi, un’immagine condivisa e fruibile da entrambe le parti. È come cogliere il senso profondo di un’esperienza; dopo non ci serve più, dobbiamo procedere oltre. 

Essere creativi non è un atto risolutivo, né tantomeno definitivo. È vivere nel mondo come paladini della propria Anima con responsabilità, fatica e il giusto piacere mentre tutto intorno cambia e muta continuamente.

Consigli di lettura

La campana di vetro – Sylvia Plath
I sotterranei dell’anima – Aldo Carotenuto
La storia infinita – Michael Ende

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Antonella D'Orlando
psicologa psicoterapeuta, esercita la professione nel suo studio di Napoli. Dedita da sempre per passione alla scrittura creativa, cinematografica e teatrale, si è formata alla scrittura terapeutica con Sonia Scarpante col desiderio di integrare nella sua attività professionale quello che ha sperimentato come un potente strumento di cura. Oggi conduce piccoli gruppi di scrittura autobiografica, espressiva ed epistolare nel suo laboratorio che ha intitolato Step – scrittura terapia psicologia.
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